Il lunedì sera dopo la visita al Buzzi, nel clima generale di stupore e silenzio, mentre mi accarezzavo continuamente la pancia, erano queste le parole che sussurravo alle mie piccole. Bollicine e fruscii di risposta mi dicevano che avevano capito. Che si fidavano di me. Sinceramente, come al solito, la mia propensione al pessimismo mi faceva pensare alle conseguenze più terribili. Quale delle due sarebbe sopravvissuta all’intervento al laser? Quella con più liquido o quella con meno? Ce l’avrebbero fatta entrambe? Era quello che, come è ovvio, speravo con tutta me stessa. Ho ricevuto centinaia di chiamate, quella settimana, alle quali non ho mai risposto. Piangevo continuamente come una fontana. Che tipo di conversazione avrei potuto sostenere con amici, parenti, conoscenti che mi avrebbero semplicemente rassicurata che tutto sarebbe andato bene? Solo una persona ho sentito volentieri. Un caro amico, che ha vissuto sulla sua pelle la terribile esperienza di un tumore. Che ha poi sconfitto. Con lui, unica eccezione, ho fatto una chiacchierata molto costruttiva. Ricordo che mi disse: non devi per forza pensare al peggio. Sei una persona forte e anche le tue bimbe lo sono. Pensiamo solo a quello che c’è da fare. Se succederà qualcosa di brutto, al peggio penseremo poi. Ed è stato proprio quel NOI, quel parlare al plurale che mi ha dato una forza incredibile. Ancora adesso lo ringrazio, tra me e me.
Il martedì mattina, alle 8, ero nella sala d’aspetto dell’accettazione. Un’infermiera mi ha accompagnata nella camera di degenza, terzo piano del Buzzi. Dentro ho trovato una neo-mamma di due gemelli, maschio e femmina. Ho pensato che il fatto che loro ci fossero, mi avrebbe portato fortuna. Paola e i suoi piccoli. Davvero una bella persona. Dopo le analisi e i prelievi di routine, la visita cardiologica, le domande di rito, ho avuto tutto il tempo per metabolizzare il fatto che, nel giro di 24 ore, mi sarei sottoposta all’intervento laser. Con me, mia mamma. Che mi è stata sempre vicina, sia prima del parto che dopo. Anche per lei, non avrò mai abbastanza parole di ringraziamento. Alla sera, passa uno dei medici dell’equipe della dottoressa Rustico che avrebbe assistito all’intervento. E’ venuto per tranquillizzarmi e per rispondere ad alcune domande. Non mi faranno l’anestesia generale, ma solo un’anestesia locale, in vena. Soffro di un effetto paradosso alla benzodiazepina e questo complica un pò le cose, ma mi dice di stare tranquilla, che di interventi come questo ne fanno a centinaia.
Nonostante tutto, la notte trascorre lieve, senza brutti sogni.
Finalmente, il 12 marzo 2014, il giorno tanto atteso e tanto temuto è arrivato.Niente colazione, niente liquidi, niente di niente. E chi ha voglia di mangiare, poi? Attendo con ansia crescente le ore che mi separano alla sala operatoria. Le 10, le 11, finalmente alle 12 mi dicono che la sala è pronta. Attraverso il corridoio del reparto sul mio letto, che è diventato temporaneamente la mia casa, il mio bozzolo sicuro.
Saliamo al quinto piano, dove mi parcheggiano appena fuori dall’ingresso alle sale operatorie. Signora, c’è un ritardo, dobbiamo ri-sterilizzare tutti gli strumenti perché la prima procedura di sterilizzazione non è andata a buon fine. NO, ANCHE QUESTA NO! Chiamano Andrea per farlo venire a tenermi compagnia. Non riescono a trovarlo. Ho freddo, tanto freddo. Ma anche una calma innaturale, la consapevolezza che oggi avrei fatto quello che dovevo fare.
Finalmente è arrivato Andrea, mi ha preso la mano, è stato con me finché non mi hanno chiamata. Mentre mi portavano via, ho visto che aveva gli occhi un pò lucidi. Dopotutto, anche i leoni piangono, a volte…
Nella sala operatoria c’era tutto un via vai di persone, medici e infermiere, e l’anestesista.
Mi si avvicina, mi dice che, siccome ho due feti in grembo (ma va?!), non può farmi l’anestesia generale, ma che mi somministrerà a ciclo continuo un altro anestetico locale.
Per farvela breve e non annoiarvi, vi dico solo che a metà operazione, mentre con il laser erano dentro la pancia che chiudevano le anastomosi placentari (12 in tutto), l’effetto dell’anestetico è andato a farsi benedire.
Avete mai provato la sensazione di essere bruciati vivi? Io sì, proprio quel giorno. E mentre cominciavo a gridare dal dolore, con il dottor Faiola e la dottoressa Rustico che cercavano di fare il più in fretta possibile, quel cretino mi si avvicinava all’orecchio dicendomi: cosa c’è? Perché urla? Stia calma.
Lei non stia calmo, invece, e scappi più veloce che può, perché quando scenderò da questo lettino, le farò vedere perché urlo!
Al termine dell’operazione, quando entrambi i medici mi rassicurarono che, nonostante le mie urla loro avevano comunque portato a compimento l’intera procedura, la dottoressa Rustico si avvicinò all’anestesista e gli disse: ma che cavolo ha combinato? Ha sentito come urlava la signora? Ne parliamo dopo…
Non mi interessava più, era tutto finito. Adesso dovevo solo pensare alle mie piccole.
mi sono ancora venuti i brividi, dopo tanto tempo
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