Questa mattina sono totalmente in coma. Ma non così, tanto per dire. Sono proprio completamente disconnessa dalla realtà che mi circonda. Mentre stavo guidando verso la stazione, a bordo strada vedo un passante seduto a terra: cappellaccio nero, mani dentro le tasche di un cappotto logoro (strano, non fa più così freddo), naso adunco che sfiora le ginocchia. Penso che sia un mendicante o qualcuno con ancora i postumi di una bella sbornia da smaltire, accoccolato per terra per riprendere fiato. Più mi avvicino, più non capisco come mai non faccia nemmeno un movimento. Starà dormendo? A bordo strada? Quando mi trovo ad un tiro di schioppo dall’uomo, mi accorgo che non è una persona, ma un sacco enorme dell’immondizia, con rimasugli di qualcosa di plastica che paiono mani bocca naso pelle. Cominciamo bene, penso. Il problema del non dormire è una delle tematiche maggiormente ricorrenti nelle future mamme e nei neo-genitori.
Quando ero incinta, ho passato alcuni mesi fantastici in cui dormire per me era un pò come respirare. Lo facevo in automatico, senza pensarci troppo. A prescindere dal luogo e dall’orario. Fatto salvo il posto di lavoro, ovvio. Poi, col passare dei mesi, quasi le bimbe avessero deciso che di scorta ne avevo fatta a sufficienza, ho cominciato ad avere sempre più problemi a cadere tra le braccia di Morfeo. Ogni notte, puntuale, all’una mi svegliavo. Ma sveglia sveglia eh? Come se fosse pieno giorno. E non c’era attività alcuna che mi permettesse di riprendere a dormire il più velocemente possibile. Contare le pecore? Niente da fare, quando ero arrivata alla milionesima pecora, anche il gregge si era stancato di zampettarmi davanti ed era caduto in un sonno profondo.
Leggere un libro? Niente da fare. Il cane, disturbato dalla luce, cominciava ad emettere mugolii di disapprovazione e piccoli versetti gutturali come a dire “tu non riesci a dormire, ma io sì! Spegni quella luce”. Di guardare la TV neanche a parlarne. Di notte non c’è quasi mai nulla di interessante: dalle repliche di Striscia la Notizia del giorno prima, a noiosissimi programmi culinari (ebbene sì, ce ne sono anche in piena notte). Che poi diventa un attentato alla già precaria linea, se ancora di può parlare di linea.
E allora? Niente, passavo da un lato all’altro del letto, cercando un pò di frescura e sperando che l’amico Morfeo tornasse a trovarmi dopo il giretto notturno che si era fatto chissà dove. Il caldo è stato un altro grosso problema. Avevo sempre, immancabilmente, un caldo che nemmeno in pieno agosto dei tempi passati. Quando per trovare un pò di refrigerio si era costretti a trasferire le proprie occupazioni nella vasca da bagno. E’ così che, nel lontano 2003, quando anche il sole si faceva schifo da solo per quanto caldo innaturale produceva, ho passato almeno 15 giorni della mia vita seduta nella vasca da bagno piena di acqua gelida, studiando per gli ultimi esami prima della laurea. Benessere e sollievo fittizi, perché appena uscita dalla vasca ricominciavo a grondare come un panno mal strizzato.
Nei mesi precedenti il parto mi sembrava di essere stata catapultata in un forno acceso ventiquattro ore su ventiquattro. Dicono che sia uno degli sconvolgimenti ormonali più comuni che colpiscono le future mamme. Non so se sia così. So solo che rischiavo davvero la pazzia. E, peggio di tutto, era la mescolanza di non-sonno e di caldo asfissiante.
Se poi considerate che nei tre giorni di ricovero, con il micro clima malsano che si respira normalmente negli ospedali, la situazione era addirittura peggiorata, potreste chiedervi a pieno titolo come ho fatto a rimanere sana di mente.
Per ovviare alla questione bevevo. Non alcolici, è ovvio. Ma acqua. Acqua come se piovesse. Come se non ci fosse un domani. Ero arrivata a bere all’incirca quattro litri di acqua al giorno. Cominciavo al mattino e andavo avanti, io e le mie bottiglie, per tutta la giornata e anche durante la notte. Di fianco al letto, i vuoti come piccoli soldatini che hanno assolto al loro compito e se ne stanno lì, in attesa di conoscere il loro futuro.
Sapete che c’è, però? Dopo tutto, anche se ne ho viste di ogni colore e sfumatura, anche se ho passato mesi ad annoiarmi nel non-dolce far niente, anche se…ne è valsa la pena.