La mattina del 17 maggio mi sono svegliata presto. Impossibile dormire. Tra il dolore all’addome, pulsante, sordo, continuo. E i piccoli inquilini del reparto, che annunciavano la loro presenza al mondo urlando e piangendo. E poi, va da se’, non vedevo l’ora di abbracciare le mie piccole. Chiedo il permesso di scendere dal letto. Accordato. Più facile a dirsi che a farsi. Provo a mettere giù le gambe e sento una forza incredibile attrarre la pancia verso il basso.
Non so come descrivere il dolore. Ma lo ricordo benissimo e credo che tutte le mamme sottoposte a cesareo possano capirmi.
Ci metto trenta interminabili minuti a percorrere il corridoio del reparto, camminando a papera e reggendomi la pancia. Un passetto dopo l’altro per raggiungere la vera felicità.
Entro nel reparto nido e chiedo dove posso trovare le mie bambine.
Qui a destra mamma, nella stanza riservata agli immaturi.
Immaturi. È così che chiamano i bimbi nati prematuri qui. Non so, ma questo termine l’ho odiato all’istante. E lo odierò ancora per molto. Ha una connotazione negativa. Come se le mie piccole avessero qualche colpa nell’essere nate di sette mesi.
Metto piede nella stanza e finalmente le vedo. Veronica nell’incubatice di destra, Ludovica in quella di sinistra. Tubicini di tutti i tipi entrano in piccole vene portando nutrimento e vitamine. Nessuna maschera di ossigeno. Sia lodato il Signore.
Pian piano mi avvicino prima a una e poi all’altra. Lacrime silenziose di sollievo, tristezza, amore cominciano a scorrere.
Perché piange mamma? Stanno bene!
Perché piango? Non so spiegarlo. Molto è legato anche agli ormoni, e a quella che chiamano depressione post-parto. Ma di questo parlerò più avanti.
Leggo i colorati fogliettini attaccati al vetro delle incubatrici: Ludovica Caterina, gemello I, 16 maggio 2014, ore 18.05, peso 1770. Veronica Melania, gemello II, 16 maggio 2014, ore 18.06, peso 1850.
Le guardo bene. Ieri le ho potute solo adocchiare di sfuggita. Sono belle, le mie piccole, ma così magre che lo sterno è incavato.
Si riprenderanno benissimo vedrà! Ieri hanno respirato da sole per cui non è stato necessario far loro l’ossigeno-terapia. Il che è estremamente positivo. Può causare gravi danni…
Mi giro e mi trovo davanti la Primaria di Pediatria. Ricordo di averla vista ieri, dopo l’intervento. Quando i miei denti sbattevano così forte che a stento sentivo quello che mi diceva.
Dovrà stare qui con noi un bel po’. Cinque settimane, come dicevo a lei e suo marito ieri. È la procedura in caso di nati prematuri.
Mi sento morire. Cinque settimane…la mia vita si fermerà per cinque settimane in questo limbo. Dove non c’è speranza di redenzione e uscita anticipata.
Posso toccarle?
Certo, ma prima si deve lavare accuratamente le mani e poi passarle con quel gel antibatterico.
E posso prenderle in braccio?
Per il momento purtroppo no.
Sono una madre senza braccia. Senza culla. Senza fiocco rosa sulla porta di casa. Sono una mamma immatura.
Lavo le mani, apro le antine e mi infilo nell’utero artificiale che sarà la casa delle mie bambine per le prossime settimane. Vengo avvolta dal caldo. E le tocco, prima una poi l’altra. Sopracciglia bionde si alzano sorprese. Boccucce rosa accennano un timido sorriso. Mamma è qui. Loro lo sanno. Mi hanno riconosciuta.
E, per il momento, lo sconforto si dissolve e restiamo solo noi tre, a riconoscerci dall’odore e conoscerci di persona dal tocco lieve delle nostre mani.