Il giorno delle dimissioni la Dottoressa di Pediatria si raccomandò più e più volte che svegliassimo le bambine durante la notte (ma anche di giorno) per farle mangiare. Ricordo che le piccole potevano andare avanti ore e ore senza verbo proferire, dormendo come dei sassi. Non sentivano la necessità di mangiare? Forse preferivano semplicemente dormire, per non vedere le bruttezze del mondo in cui erano state catapultate d’improvviso e con largo anticipo. Chissà. Fatto sta che, mangiando ogni quattro ore, come da tabella dell’ospedale, la sveglia suonava continuamente. O così almeno era quello che mi sembrava.
La puntavamo in due, io e mia mamma. Eh sì, perchè dietro ogni supermamma, c’è una supernonna. Per il superpapà, stiamo ancora attendendo i moduli di conferma debitamente compilati e inviati. Ricordo con angoscia le sveglie delle 23.40 (per la poppata delle 24) e quella ancor più tragica delle 03.40 (per il pasto delle 4). Immagino che molte di voi abbiano provato la stessa sensazione di spaesamento. Chi sono, dove mi trovo, cosa devo fare. Le svegliavo! Incauta e stolta! Se tornassi indietro, credo proprio che le lascerei dormire. I bambini devono pur avere i loro ritmi innati, no? Se non sentono la necessità di mangiare, perchè disturbarli? Provo ancora la sensazione di smarrimento, gli occhi che bruciavano, io e mia mamma (e Andrea, nel weekend), che ci trascinavamo in bagno, con le piccole in braccio per cambiarle. Ci guardavano con gli occhietti cisposi e lo sguardo truce “perchè mi hai svegliata? Dormivo così bene!“. Sì, anche noi dormivamo bene. Ma il dovere prima di tutto. Il rituale si è protratto per mesi e mesi, finché non hanno inserito l’orologio della poppata notturna (intorno ai 3 mesi) e non hanno cominciato a svegliarsi da sole, reclamando il loro pasto. La gestione delle poppate notturne è un delirio con uno, immaginatevi con due. Che, dopo aver capito che sta per arrivare il nutrimento, hanno poca pazienza e allora si che cominciano a urlare.
Dopo la poppata, il rito del ruttino. Le piccole ci hanno sempre messo un secolo per digerire. Tenerle su per 20-25 minuti significava stare sveglie oltre un’ora. Il che, nel pieno della notte, vi posso assicurare non è molto piacevole. Primo perché a me si chiudevano proprio gli occhi (mentre mia mamma, garrula e fresca come una rosa, una volta sveglia parlava e parlava, con me, con le bambine, con Flash che veniva a supervisionare il pasto notturno). Secondo perché anche le piccole, una volta sveglie, non ne volevano sapere di riaddormentarsi a tempo di record.
Il papà che faceva? Beh, semplice. Durante la settimana si chiudeva in camera per non sentirle. Il venerdì e il sabato sera, invece, bisogna somministrargli una doppia razione di energy drink o similare per non vederlo svenire sul divano. Mentre tentava di far digerire la bambina di turno, ecco che gli occhi si posizionavano a mezz’asta e la bocca prendeva la classica piega da bava. Sì, la verità della scoperta dell’acqua calda è che gli uomini sono completamente diversi dalle donne. Sebbene nemmeno io fossi particolarmente ciarliera, con Andrea era tutto un susseguirsi di grugniti e mugolii.
Tranne quella volta che, per tornare di corsa a dormire, ebbe la magnifica idea di mettere giù Ludovica prima che avesse effettivamente digerito tutto. La poveretta non fece in tempo a posare il capino sul materasso che tutto il latte venne sparato fuori stile Esorcista. Ma con pianto a dirotto annesso. Ecco, in quel caso, Andrea qualcosa disse. “L’ho tenuta su venti minuti, pensavo avesse digerito“. Vai, vai a dormire, che qui me ne occupo io.
Il senso di sconforto che ho provato i primi mesi, in cui “dormivo” con la carrozzina a fianco, sempre vigile e attenta, consapevole sempre più che la responsabilità del benessere delle bambine era mia e solo mia, è stato devastante. Poi, pian piano, inizi a capire che non l’hanno chiesto loro di venire al mondo, che la scelta fatta di diventare genitore è stata una scelta consapevole (almeno si spera), che la tua vita è stata sconvolta, ma per un ottimo e bellissimo motivo.
E allora, almeno per quanto mi riguarda, ho smesso di prendermela (quasi sempre), di avere moti di stizza, di pensare con nostalgia alla vita pre-bebè (si, lo ammetto, ho pensato anche a questo). E mi sono lasciata trascinare dagli eventi, con consapevolezza, ma anche con una buona dose di “incoscienza”. Imparando giorno dopo giorno a conoscerle e a capirle.
E la mattina, semplicemente, una doppia dose di caffè rendeva la giornata meno nera. E qualche volte un pò più isterica.