Dalla sezione info penso che poco si capisca di chi sono. A molti non interesserà, mentre altri si saranno chiesti, almeno una volta, chi si cela dietro il titolo del blog. Bene, vorrei fare un esercizio di introspezione, un pò noioso e un pò entusiasmante. Potete smettere di leggere anche subito, se volete. Tanto sono fatti e insight puramente personali. Il mio carattere, com’è oggi e come viene percepito dall’esterno, si è forgiato nel corso degli anni. Se sembro una persona dura, coriacea, sanguinaria e un pò iena, molto, moltissimo lo devo alle esperienze fatte, a partire dalla scuola materna sino ad oggi. Non sono l’unica, né l’ultima, ad aver subito vessazioni, ingiustizie, drammi personali. Questo è chiaro e ovvio. Certo è che, ognuno di noi, risponde alle vicissitudini della vita a proprio modo, diventando la persona che è. Si può cambiare? Sì, ma prima dei 20 anni. Poi la strada è tutta in salita. E cambiare diventa difficile. A meno che non lo si voglia fortemente.
Alla scuola materna ho provato per la prima volta cosa vuol dire essere presi in giro ed esclusi. Per via degli occhiali (maledetti occhiali), per cui venivo puntualmente chiamata “Puffo Quattrocchi”, per via della timidezza (che poi ho ampiamente superato, ma senza arrivare per fortuna alla sfacciataggine) e per via degli orari super-continuati che facevo rispetto agli altri bambini. Avendo due genitori che lavoravano fuori città, era comprensibile che sfruttassi appieno le ore messe a disposizione dalle maestre. Mentre gli altri venivano recuperati dai genitori subito dopo pranzo o poco dopo, io rimanevo lì, insieme a pochi altri, a fare chiusura. Che se si dicesse di una serata in discoteca fa tanto figo. Detto della permanenza in una scuola materna, fa un pò meno cool. Le volte che veniva a prendermi mio nonno era una festa. Guardavo i compagni che rimanevano con la stessa aria di supponenza mista a pietà che quotidianamente riservavano a me.
Ricordo ancora un giorno infausto in cui mio nonno, caso strano, era in ritardo. Scappandomi la pipì, sono andata nei bagni in fondo al corridoio. Avete presente i saloon del Far West? Con le porte ad apertura a spinta? Bene, all’asilo le porte dei bagni erano così. Privacy zero. Sicurezza tanta. Ad un certo punto arriva la figlia di una delle bidelle (è ancora politically correct chiamarle così? Boh). Una stronzetta più grande di tutti noi bambini, che si divertiva a tiranneggiarci non appena poteva. Mi apostrofa dicendo “oh oh…la tazza è sporca! Ci sei salita sopra con le scarpe! Sai chi deve pulire adesso? Mia mamma! E invece no, pulisci tutto tu. Con la lingua!”. Ero paralizzata dal panico. Con la lingua? Ma questa è matta. Nonno dove sei? Per mia fortuna, proprio in quel momento mi sono sentita chiamare dalla maestra. Il mio salvatore era arrivato! La stronza mi ha guardato con odio. Non ho mai raccontato quest’episodio alla maestra né a casa. Avevo troppa paura delle ritorsioni. Ecco, questo è stato il primo, vero caso di bullismo che mi è capitato. Che mi ha insegnato a rispondere alle provocazioni, a non farmi mettere i piedi in testa, a farmi rispettare.
Alle elementari ho sperimentato invece la cattiveria tremenda e tragica dei bambini. La sensazione di non essere inclusa in un gruppo, di essere diversa (per gli occhiali, sempre loro!, per il mio corpo che stava cambiando troppo velocemente rispetto a quello degli altri, alle elementari ho avuto il primo ciclo, per non essere la bambina tutta trine e merletti). Non che non avessi amici, tutt’altro. Avevo due migliori amiche che mi sono sempre state vicine, ma con i bambini maschi il rapporto era diverso e parecchio conflittuale. E con le maestre non era certo meglio. Ce n’era una, in particolare, che mi odiava. Non so ancora perché. Ma mi odiava. Non perdeva occasione per tiranneggiarmi. Ricordo una mattina in cui, presa da un impeto di affetto pazzoide, le diedi un bacio sulla guancia perché era stata gentile con me (non accadeva mai). Sapete cosa mi disse “il bacio di Giuda”. E che dire di quel pomeriggio, durante la ricreazione, in cui feci non so più cosa. Ma ricordo benissimo la punizione. Fino al momento del rientro il classe mi obbligò a stare in ginocchio sulla ghiaia in un angolo del cortile. Cosa mi ha insegnato l’esperienza alle elementari? Che l’autorità va rispettata, certo. E che ai miei problemi devo pensarci io. Sono io che devo imparare a risolvermeli. Anche questi episodi non li ho mai raccontati in famiglia. L’esperienza mi ha insegnato a stare lontana dalle persone negative, tante volte frustrate, che perché detengono un titolo e un ruolo di supremazia (qualsiasi sia l’ambito di riferimento) pensano di avere il diritto di tiranneggiare i sottoposti, i più deboli, i malcapitati di turno.
E gli esempi potrebbero continuare. Come quella volta che, durante l’esame di maturità, ho contestato un’esaminatrice sul periodo in cui si sviluppò la corrente letteraria del Verismo. Avevo ragione io, ma lei insisteva che non era così. Ad un certo punto le ho detto “non troviamo un punto di accordo, direi di andare avanti”. Questo ha compromesso il mio voto finale. Ma sapete cosa c’è? E quello che ho anche detto ad una compagna di classe che mi diede della scema? Io al mattino quando mi guardo allo specchio, vedo la mia faccia, non un sedere.
Beh, siccome non voglio annoiarvi, vi dico solo che se adesso vengo considerata una persona dura, intransigente, una iena come dicono alcuni, è solo perché ho dovuto imparare a non soccombere. A portare avanti le mie idee e le mie convinzioni. Quello in cui credo è più importante del pensare comune. Certo, esistono le famose sfumature di grigio. E con l’età ho imparato a conoscerle e a conviverci. Ma sono fatta così. Non posso (e non voglio) piacere a tutti. La mia dignità viene prima.
Questo insegnerò alle mie bambine. Ad essere sempre e comunque fiere di loro stesse. Occhiali, a parte. Se ne avranno bisogno.