Sin da quando sono piccola, ho ricordi di mio papà che la domenica mattina andava a donare il sangue. L’associazione di cui faceva parte era la FIDAS. E lo diceva con orgoglio, sottolineando che era proprio quella l’Associazione che aveva scelto, non l’AVIS. Che definiva la “concorrenza”. Non so come fosse possibile, ma a Bra questa rivalità tra le due associazioni era molto sentita. Nel corso degli anni, tutte le donazioni che aveva fatto gli avevano valso svariate medaglie d’argento e d’oro, in qualità di sostenitore fedele alla causa. E lui ne parlava con orgoglio, spiegandomi che in quel modo si poteva fare del bene alla gente, con pochissimo sforzo. Quasi nullo. E mi mostrava la tessera, spiegazzata e consumata per l’uso frequente, che teneva sempre nel portafogli.

Quando sono cresciuta, alcune vicissitudini mi hanno fatto comprendere l’importanza della donazione di sangue. Un atto di puro altruismo, semplice e indolore, che può regalare speranza e benessere a tanti. Si può davvero fare molto, con poco. Così, complice la stazione di Milano Cadorna, qualche anno fa ho scoperto l’unità mobile itinerante del San Raffaele di Milano, il BAOBAB. Un simpatico TIR colorato di bianco e rosso, con impresso sopra un albero. Mi piace pensare che possa essere l’albero della vita. Lo staff è di una simpatia disarmante. Le dottoresse sono gentili e aperte a qualsiasi spiegazione si chieda. E così, circa 8 anni fa, decisi di dare anche io il mio piccolo contributo alla “causa”. Oggi, come allora, l’emozione che ho provato salendo i gradini del BAOBAB è difficile da spiegare. Quando sai che puoi aiutare qualcuno, che sia un conoscente, un amico, un famigliare o semplicemente un perfetto sconosciuto, penso che sia normale e umano che il cuore si riempia di gioia. E di orgoglio anche.
Purtroppo, durante la gravidanza e dopo il parto, non mi è stato permesso fare donazioni. Motivi medici. Non è che ci abbia capito molto. Inoltre, stando a quanto mi hanno spiegato sul BAOBAB, le donne possono donare il sangue solo due volte l’anno, ogni sei mesi. Non chiedetemi perché. Non lo ricordo. Non importa.
Anche quelle due volte l’anno, in cui rinuncio a 4 etti del mio sangue, sono comunque momenti in cui so di aver aiutato qualcuno. E mentre donavo il sangue, questa mattina, pensavo a mio papà. A cosa avrebbe detto se avesse saputo (anche se so per certo che lui lo sa!) che anche io continuo la tradizione di famiglia. Che anche io sono orgogliosa. Fiera di poter dire che, ogni tanto, passo a trovare gli amici del San Raffaele di Milano.
Ecco, mi piacerebbe che anche le piccole, quando sarà il momento, pensino seriamente alla possibilità di regalare parte di loro stesse per qualcuno meno fortunato. Miele e zucchero a parte, non è mia intenzione sembrare una Santa Maria Goretti che si erge a paladina dei più deboli e sfortunati. Per carità. Lungi da me.
Ma, se nel mio piccolo di male ne ho fatto e continuo a farlo (spesso involontariamente), perché non provare a “espiare” un pò le colpe, facendo qualcosa che davvero può cambiare la vita di altri?