Non ci credevo, eppure è successo anche a me. Vedevo mia madre che non piangeva mai, nemmeno quando è morto papà. Nemmeno quando sono mancati altri tasselli importanti nella nostra vita. La vedevo sorridere a denti stretti, fare un bel respiro e buttarsi con buona lena nel quotidiano. Rimboccarsi le maniche e tirare avanti. A fatica, magari, ma sempre andando oltre. Non si tratta di essere supereroi, né maghi con conigli nel cappello e magie da tirare fuori al momento appropriato. E nemmeno fabbricanti di miracoli. Che per quelli c’è solo Dio.
No, si tratta di essere mamme a tutti gli effetti. Ogni tanto capita che si scarichino addosso ai figli le proprie paure, le proprie incertezze e preoccupazioni, la propria solitudine. Il genere umano è così. Ma si tira sempre e comunque avanti, insieme.
La scorsa settimana mi è arrivata una brutta notizia. Ero a casa con le pupe, da sola, la tata via per ragioni famigliari. Io ad occuparmi delle bimbe. Due giorni di follia e stress, tra caldo e nervosismo e dentini che spuntano come funghetti. Dopo il riposino post-pranzo leggo un messaggio sul cellulare. E mi sento male. Mi viene il vomito. Ho le palpitazioni. Sudo freddo nonostante i 30°. E le bambine che reclamano attenzione e la merenda. Siamo chiuse in cameretta che giochiamo. Non le vedo quasi più. Anche la vista mi si è annebbiata. Vorrei lasciare tutto e scappare. Mollarle al primo che mi dà disponibilità per starmene un pò per conto mio. Ho voglia di piangere. Nemmeno quello posso più fare in pace? Mi cadono lacrime silenziose dagli occhi. Cerco di non far rumore, per non spaventarle. Per non farle piangere.
Provo un senso di pesantezza e spaesamento e dolore che non so spiegare. Davvero, vorrei solo annullarmi nel silenzio. Ma sono da sola e le piccole hanno la priorità. Ed è allora che capisco di essere una mamma. Il fatto di mettere le mie emozioni e le mie necessità in secondo piano, seppur a fatica, seppur bramando un attimo di solitudine e di pace. La mia priorità adesso è occuparmi di loro. Ci sarà tempo per rimuginare, per elaborare, per piangere. Quando loro dormiranno o saranno con qualcun altro.
Le lacrime si asciugano di colpo. E riesco persino a sorridere. Vedendo Ludovica che fa lo sforzo immane di raggiungermi camminando da sola, senza appoggiarsi. Ancora tentennante e barcollante. Come una scialuppa nel mare grosso, tra onde e sferzate d’acqua. E quando mi raggiunge, orgogliosa, mi mostra i suoi 8 dentini bianchi e ride. Com’è bello essere mamma. Dover rinunciare a tante cose, ma godere di tante altre.
E subito, di nuovo, ripenso alla mia, di mamma. A tutte le volte che presa dallo sconforto mi diceva che la sua vita l’aveva dedicata a me. A noi. A quello che rimaneva della nostra famiglia rotta. Al fatto di essere, contemporaneamente, padre e madre. Tutte le responsabilità e le decisioni sulle sue spalle. Al senso di sconforto che spesso l’assaliva. E capisco che è lo stesso senso di sconfitta e stanchezza che a volte assale anche me. La mia situazione, per carità, è totalmente diversa. Spero che non debba mai succedermi quello che è accaduto alla mia famiglia prima delle bimbe. Spero che loro non debbano mai provare l’immenso dolore che ho provato io. Che mi accompagna ancora oggi. Ma so che, qualsiasi cosa accada, adesso ho le carte in regola per fronteggiare qualsiasi avversità. Grazie all’esempio e all’esperienza.