
La scorsa settimana è stata dura. Magna (termine piemontese che indica la zia, in questo caso è la mia prozia) si è sentita male per l’ennesima volta. Corsa al pronto soccorso, ricovero, analisi, diagnosi finale: piccolo infarto. Ricoverata nel reparto di terapia intensiva coronarica, non poteva ricevere visite se non super-selezionate e solo in orari strettissimi. Poco male, per me, che tanto sono a ben 200 km di distanza, malissimo per lei e per il suo morale. Ho rivissuto, di colpo, una tragedia di alcuni anni fa, quando anche mia nonna fu rinchiusa in un reparto di terapia intensiva nel maledetto ospedale di Cuneo. E da lì vi uscì solo morta. Ma questa è un’altra storia, per fortuna.
La mia Magna sta facendo delle cure specialistiche da anni. Ha grossi problemi di salute che la costringono a terapie settimanali piuttosto invasive. Ma lei, grande e fortissimo leone, le affronta sempre con serenità, con un sorriso per tutti. Anche se è stanca, molto stanca: di stare male, di doversi curare, di non poter più gestire la casa e le sue cose personalmente. Come aveva sempre fatto. L’ho già detto e lo ripeto (lo ripeterò fino alla nausea): le donne della mia famiglia sono così. Delle combattenti nate. Sempre in movimento, sempre con qualcosa da fare, grande o piccolo che sia, sempre attive. Potete forse immaginare come, un riposo forzato e una botta di quel tipo possano aver influito sul morale già basso della mia Magna. Quando l’ho sentita la settimana scorsa, le sue prime parole sono state “sono stanca”. C’era racchiuso un universo in quell’espressione. Non era solo stanchezza fisica, ma anche e soprattutto mentale e morale. Era, e mi ci sono ritrovata anche io mille volte, la voglia non più troppo repressa di lasciarsi andare, di smettere di lottare per avere una vita con una qualche parvenza di normalità. Ho cercato, per quanto possibile, di tirarle su il morale. Mandandole foto e video delle bambine.
Poi la notizia dell’intervento imminente. Come un fulmine. Ho pregato pregato e ancora pregato il Signore che la preservasse e la seguisse come un’ombra, affinché andasse tutto bene e tornasse a casa. E così è stato. Lunedì è stata dimessa ed ora è a casa. Avrei tanto voluto essere lì per accoglierla festosa. Come lei fa sempre tutte le volte che torno a casa io. Esce sul balcone, quel balcone strapieno di bellissimi e colorati fiori, con una casetta per gli uccellini, un galletto di latta dipinto saldamente ancorato ad un vaso. Strascica un pò i piedi, fa fatica a muoversi, ma sul balcone esce sempre, per darmi il bentornata. E per vedere le bambine.
Da quando ci sono loro, la mia Magna (la loro nonna bis, come la chiamiamo noi) sembra ringiovanita un pochino. Il suo viso scavato dall’esperienza si illumina, la voce riprende vigore, le gambe sono più salde. E la sua risata echeggia per tutta la casa, insieme a canzoni dialettali che avevo dimenticato e che rispolvero ogni volta con piacere. Vorrei intervistarla, questa grande donna. Mettere su nastro tutti i suoi ricordi, la storia della mia famiglia, la guerra, le sue sorelle e i miei bisnonni. Vorrei immortalare per sempre un pezzo del mio passato. Perché un giorno, le piccole, abbiano la possibilità di ascoltare direttamente dalle sue parole, le loro origini piemontesi.
Per questo, prego ancora adesso e pregherò per molto ancora, spero che Dio la preservi ancora per anni e anni e vegli su di lei. Perché vorrei che le mie bambine avessero la possibilità di ricordarla direttamente, la mia Magna, non solo come una persona di cui potrei raccontare io la vita. Speriamo!