Lavorare anche ad agosto (solo una settimana eh?!) l’ho sempre considerata una seccatura. Caldo asfissiante, asfalto rovente, negozi e bar chiusi, deserto del Sahara in pieno centro. E’ da fine luglio, ormai, che il clima vacanziero pervade qualsiasi spazio pubblico. Te ne accorgi che le ferie sono arrivate quando per salire sul treno (qualsiasi esso sia), non devi più fare scatti da centometrista intrippato per arrivare alla meta tanto ambita: un posto a sedere, possibilmente corridoio. Come sull’aereo. No, da fine luglio alla prima settimana di settembre, ti guardi intorno e vedi la banchina della stazione quasi deserta. Qualche altro sparuto viaggiatore con la sua valigetta o la borsa della “schiscia” (termine lombardo per “barachin”, versione piemontese del contenitore in cui metti il tuo “lauto” pranzo) attende come te con occhi pallati l’arrivo del convoglio. Ma noti che, come te, il filo sottile delle labbra accenna, ora, un pallido sorriso. Finalmente la situazione è più vivibile! Quando poi sali sul treno e hai l’imbarazzo della scelta sul posto a sedere, la goduria si fa massima e pensi di star vivendo in un sogno. Vita da pendolare…
All’arrivo a Milano Cadorna, poi, ti accorgi che è agosto perché davanti a te, direzione tornelli di uscita, ci sono appena una decina di persone. Il bar sul binario 1 è semi-vuoto (potresti prenderti un caffè senza dover stare in coda per venti minuti), le biglietterie sono quasi deserte. Anche se, a onor del vero, essendo appena le 8 del mattino, è abbastanza normale che non ci sia una folla da concerto… Ma la vera sorpresa te la trovi davanti quando esci in Piazzale Cadorna e attraversi la strada, direzione Corso Magenta. Quella strada che ogni giorno oltrepassi rischiando la morte per investimento (che anche se c’è un cavolo di semaforo, qui a Milano se ne fregano e ti mandano pure a cagare se attraversi sulle strisce col verde perché si devono fermare per farti passare). Ecco, quella strada, da qualche giorno, è vuota. La guardi a destra e a sinistra e non vedi macchine all’orizzonte. Solo un timido camion dell’immondizia lontano e piccolo come un puntino. Anche il conducente del mezzo si starà chiedendo dove sono finiti tutti e non gli parrà vero riuscire a fare tutte le manovre senza essere inseguito da clacson urlanti. Mi piazzo nel bel mezzo della strada, a braccia aperte (sperando che qualcuno non chiami la Neuro…) e assaporo una sensazione di libertà e di fine imminente. Quando le strade a Milano sono così, vuol dire che tra poco anche io mi aggiungerò alla schiera dei lavoratori in vacanza e abbandonerò la città verso lidi più piacevoli.
Perché anche se “Tutt el mond a l’è paes, a semm d’accòrd, ma Milan, l’è on gran Milan“, io adesso ho proprio voglia di dimenticarmi della metropoli e migrare via, lontano.
E pur non riconoscendo la città nel mese di agosto, che diventa più vivibile e piacevole, caldo africano a parte, voglio poter dire “ad agosto, Milano mia, non ti conosco!”.