Eccolo il problema maggiore per una mamma di gemelle. O gemelli, ça va sans dire. Il problema più grande contro cui lottare è il tempo e la qualità del tempo speso con le bambine, i mille impegni, le incombenze quotidiane. Essendo una mamma che lavora, incidenti di percorso a parte, la mia giornata comincia alle 6 e finisce intorno alle 22.00. No stop. Nel senso che, al lavoro ovviamente devo porre attenzione a quello che faccio, a quello che scrivo, a come lo scrivo. Con mani attente che volano leggere (più o meno) sulla tastiera e la mente vigile a captare stimoli esterni, ma al contempo, parte di me, è proiettata a casa. Dove ci sono loro. Durante il giorno, gioco forza, bisogna poter affidare le piccole a qualcuno di cui ci si fidi. Cosa altrettanto non semplice. O meglio, se si è costretti, ci si deve fidare. Punto. Non ci sono altre scappatoie.
Mi fanno tanto sorridere quelle mamme mono-figlio che quando mi vedono mi dicono che sono fortunata, che almeno loro crescono insieme, che il loro figlio è vivacissimo e vale per due. Ne ho sentite di ogni. Ma provate voi, dopo una giornata di lavoro, quando l’unica cosa che vorreste fare è lasciarvi cadere a peso morto sul divano, a dover comunque tenere duro e dedicare (giustamente) tutto il poco tempo a disposizione alle piccole. Che richiedono immediata attenzione nel momento stesso in cui metti piede in casa. Che vogliono essere prese in braccio (ma come? Avete cominciato a camminare e volete stare in braccio?!). Che reclamano un pò di tempo per giocare con la mamma. Certo, questo è qualcosa che capita a tutte le mamme che lavorano. Peccato che, nel mio caso, sia moltiplicato per due. E così, dopo aver preso in braccio una delle due, devi metterla giù e prendere in braccio l’altra. Continuando, nel frattempo, a coinvolgere quella che hai appena posizionato a terra. Che ovviamente, non soddisfatta, ha cominciato a urlare.
Come si fa a conciliare tutto? In assenza di super-poteri? Quando la mamma ti ha lasciata per tornare a ricaricarsi nella natia Bra? Mi dispiace, non ho una risposta. Faccio tante cose, tutte piuttosto male. Mi arrabatto a cucinare per loro, intrattenendole nel frattempo, a preparare le dosi, a rispondere al telefono quando la maledetta Vodafone per la trecentesima volta ti chiama per un’offerta irripetibile. E tu che urli che no! non sei interessata! Lasciatemi in pace, almeno voi dei call centre. Che state facendo sì il vostro lavoro, ma state minando il delicato e fragilissimo equilibrio dello slot temporale 18-20. Quel momento in cui le energie represse delle bambine esplodono come fuochi d’artificio. E tu ti chiedi come hai fatto, per l’ennesima volta, a schivare la forza propulsiva della bomba atomica che ti ha appena sfiorato i capelli.
Follia serale a parte, conciliare i vari ruoli mamma-lavoratrice-moglie-amica è difficile. Come fare lo slalom con un trattore in un negozio di cristalli. E allora chiudo gli occhi, prendo un bel respiro, e mi butto. A terra. Tormento le panciotte, faccio il solletico, ridacchio con loro, leggo libri e faccio bolle di sapone. Le imbocco e le cullo fino allo sfinimento. Quando mi accorgo che mi sto per addormentare prima io di loro, capisco che sono quasi arrivata alla frutta. E la figura di mamma, almeno in parte, l’ho assolta. Per tutte le altre, scusate, ma ci sto lavorando. Più o meno bene. Direi che la targa che dovrei portare appresso, appesa sulla schiena. almeno per ora è work in progress.