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Il target business è tutta una questione di algoritmi

business-target-a4who-ik-300x234Non è più questione di Grande Fratello alla Orson Welles in cui i media, il magnifico e terribile quarto potere, spadroneggiavano. Inculcando in teste vuote e pronte a farsi fare un bel lavaggio del cervello qualsiasi tipo di cagata e di informazione. Rielaborata, ovviamente, sulla base di produttori paganti affinché arrivassero alle masse solo precisi e determinati messaggi. Ora la questione è più sottile, più virale e a me fa ancora più paura. Mi sento sì spiata, ma in un modo continuo a pressante. Non solo quando parlo al telefono, messaggio, accendo la TV. Ma anche quando, bellamente, mi faccio i fatti miei su internet.

Gli algoritmi, questi sconosciuti. A me sembrano, al di là della loro reale natura, dei piccoli mostriciattoli che frugano nella mia testa, captano qualsiasi variazione di morale e di gusto, per rimandarmi immagini e informazioni tarate sulla base del mood del momento. Ed è terribile. Ma andiamo con ordine.

L’algoritmo, per quanto ne abbia capito io, è un procedimento matematico, una formula, a tratti semplicissima a tratti complessa, volta al risolvimento di un problema. E scusate se non so spiegarmi meglio. Partendo da questo presupposto, i nostri amici senza volto, ma dei quali possiamo avere una chiarissima idea, studiano, analizzano, catalogano i nostri pensieri, le nostre ricerche, le nostre preferenze per far felici le terze parti. Per propinarci qualcosa e per venderci qualcosa.

Da qui il target business. I bersagli di questi algoritmi sono innumerevoli. Siamo noi, sono in mezzo a noi. Dalle casalinghe agli studenti, dai letterati a quelli che, poverini, soffrono di stipsi persistente. Vi faccio un esempio che può essere comune a molti di voi. Se inserisco sul motore di ricerca Google le seguenti parole “viaggio+New York+hotel convenienti” mi compaiono, nel giro di non più di 0,62 secondi (che Google con orgoglio mi segnala prontamente), ben 2.490.000 risultati. Alcuni più in target con quanto cercato, altri meno. Per affinare la ricerca, ovvio, si deve restringere il campo. A questo punto, allora, inserisco l’ulteriore termine di ricerca “Central Park”. I risultati hanno una dimensione minore di informazioni, ma sono più accurati.

Cosa c’entra tutto questo, chiederete voi? C’entra eccome. Perché, dopo aver compiuto la mia ricerca, decido di entrare nella mia mail personale su Yahoo.it. Ed ecco che, per magia, a destra della schermata mi compaiono annunci di hotel, guarda caso a prezzi convenienti e, accidenti che bravi!, proprio a New York! Ma dai! E, se a questo punto dovrei sentirmi felice e soddisfatta che qualcuno al di sopra di me stia cercando di aiutarmi, così non è.

Ok, ho fatto una ricerca. Bene, ho ottenuto dei risultati. Ma che l’algoritmo abbia catalogato la mia persona come amante dei viaggi, possibilmente a New York, e con sistemazione in hotel non proprio di lusso, beh, questo non mi piace particolarmente. L’algoritmo ha, come un bravo soldatino, registrato Annalisa Costantino come possibile fruitrice di qualche offerta scontata per hotel a New York City, purché in zona Central Park. E gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Da mamma, per esempio, non è infrequente che mi compaiano promozioni e avvisi anche pop-up (prontamente disabilitato) su prodotti per neonati, creme e cremine per culetti arrossati, pappe ed omogeneizzati, vestiti e molto altro ancora.

Provare per credere. Siamo tutti costantemente monitorati, controllati e, cosa ancora più triste, schedati. Siccome il simpatico algoritmo è pur sempre una formula matematica, non tiene conto dei cambiamenti di umore e di preferenze. A meno che non siamo noi stessi a dargli l’imbeccata giusta. Semplicemente navigando su internet. E, se oggi ho deciso che voglio cercare i libri di un dato autore, magari domani vorrò invece sapere quando ci sarà una mostra dedicata a Van Gogh. Sarebbe comodo che gli avvisi mi arrivassero direttamente. Ma, per il momento, essendo il simpatico algoritmo una formula e basta, ancora non può capirci se prima noi non diamo l’input giusto.

Per fortuna direi. E con pochissima buona pace delle multinazionali, dei produttori e delle grandi aziende. Che vorrebbero anticipare le nostre esigenze ed entrare a piè pari nella nostra vita personale. Ma ancora non ci riescono. Possono solo (e non è poco) cavalcare l’onda delle nostre ricerche. Per ora.

Signori/e ecco perché, nostro malgrado, siamo tutti target business.

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