Ci pensavo ieri, a come ognuno di noi si inserisca a forza (e spesso gli stiano anche strette) in alcune categorie ben definite e ben tollerate dal pensiero comune. E per quanto non ci piacciano, per quanto ci si possa ergere a sostenitori del non-voglio-seguire-i-cliché, non-voglio-appartenere-a-generalizzazioni, non-faccio-parte-di-un-determinato-gruppo, invece la realtà è ben diversa. La verità è che, volenti o nolenti, queste categorie ci appartengono e ci fagocitano. Sempre e comunque.
La mamma-moglie: conditio sine qua non di dolcezza, disponibilità, senso del dovere e della responsabilità. Anche io dovrei farne parte. Eppure mi va stretta. Sono felicissima di essere mamma, per carità. E mi ci sono sentita subito, una mamma. Per la categoria di moglie, invece, mi è occorso più tempo. Sarà perché il matrimonio è arrivato dopo nove anni di frequentazione, nove anni in cui ho imparato a conoscere la maggior parte degli aspetti della vita di coppia, compreso la totale incapacità dell’uomo di ricordare dove sono i piatti, dove trovare i detersivi per il bucato e dove sono sistemati gli asciugami, di bagno o cucina poco importa. Tuttavia, dopo la cerimonia in chiesa, l’ufficializzazione del legame, le firme e tutto il resto annesso e connesso, per un bel pò di mesi ho fatto fatica a riconoscermi come consorte. E ancor meno a essere chiamata con un cognome che non fosse il mio. Ricordo ancora la prima volta che, al telefono, un impiegato del comune di Olgiate Olona mi apostrofò dicendomi “la Signora B.?”. Lì per lì, gli risposi che no, che aveva sbagliato numero. Dopo un attimo di perplessità, mia e sua, realizzai che mi aveva chiamata col cognome di Andrea. E allora gli dissi “sì, scusi, dovrei essere io. E’ che non sono abituata ad essere chiamata col cognome di altri. Il mio è Costantino, mi dica pure”. Proprio non ce la faccio. Una donna non è tale se non porta il cognome del marito? Ma figuriamoci! Se per 31 lunghissimi anni ho vissuto come Annalisa Costantino, perché ora, solo perché porto una fede al dito, dovrei farmi chiamare in un altro modo? Se così deve essere, allora pretendo ed esigo che Andrea porti il mio, di cognome. Punto.
La collega disponibile: e qui si potrebbe aprire una voragine di commenti. Dico solo che questa categoria è subdola e pericolosa. Oddio, ci sono colleghe che in effetti sono disponibili e gentili e carine e supportano quelle che sono infognate nella cacca. Ma, spesso e volentieri, e qui permettetemi di entrare a piè pari nella categoria e di sguazzarci anche un pò, sono tutto l’opposto. Sono quelle persone che di fronte al titolare sono tutte sorrisi e moine e pacche sulle spalle di compartecipazione al tuo senso di “non ce la posso fare”. TI guardano con occhi cerbiattosi e con una lacrimuccia che, a comando, scende lieve sulla guancia, e ti dicono “cara, se hai bisogno, ti do una mano io! Non ti preoccupare!”. Salvo poi, a riunione terminata, dileguarsi ancora più veloci di un cinghiale sotto tiro. Dal sorriso dolce, se chiedi aiuto, passano immediatamente in modalità ghigno condito con espressione contrita “scusa, non ce la faccio, ho un sacco di cose mie da fare”. E quando chiedi spiegazioni, quando vorresti sapere come mai di fronte al titolare ha dato massima disponibilità, salvo poi tirarsi indietro, la risposta è disarmante “non ci ho pensato bene, ho anche io le mie scadenze, sai?!”. Bene, brava…
La donzella indifesa: la riconosci. E’ dolce (all’apparenza), è pallida e tremula (merito del trucco), è dolce e gattosa (miagola meglio di un micino zuppo di pioggia). Ma soprattutto, ha le lacrime sempre pronte. Per qualsiasi cosa, la donzella indifesa piange, si dispera, cerca comprensione e una spalla su cui scaricare di getto tutti i suoi problemi e le sue responsabilità. Lei è un tenero giglio, da sola non ce la può fare. E fa la felicità del maschio Alfa, che di questi tempi di donne remissive non conosce nemmeno più l’ombra. La donzella indifesa, invece, si appoggia alle forti e ampie spalle maschili, ma anche femminili all’occorrenza, pur di non farsi carico delle sue, di responsabilità. Pur di essere sempre e comunque guidata, supportata, accompagnata. E’ l’antitesi del mio concetto di donna, insomma. Le lacrime, poi, fungono da scudo contro gli altri (ma soprattutto le altre). Sgorgano a comando, in modalità diverse. Copiose o appena accennate, salvo poi asciugarsi di colpo quando si rende conto che la controparte non prova né empatia né tanto meno pena per lei. E allora, dalle lacrime passa a velocità supersonica agli improperi, alle urla, agli insulti. Alla faccia del candido ed indifeso giglio che avrebbe dovuto essere. Mai fidarsi delle apparenze, meglio andare oltre e scavare un pò. Che tanto, prima o poi, la verità viene a galla.
La donna-maresciallo: è l’antitesi della donzella indifesa. Oltre che la sua acerrima nemica. Mentre l’una parla di tempo e fiori-cuori, la donna-maresciallo, di tempo, non ne ha. Né per parlare di futilità né per piangere. Le lacrime le ha già versate, rigorosamente in privato. Ha già usato la sua scorta per i prossimi venti anni, per cui, di piangere neanche a parlarne. Figuriamoci poi a comando. La donna-maresciallo è dotata di un’incredibile senso del dovere e del rispetto. Trotta come e meglio di un cavallo da soma. E’ un pilastro imprescindibile della famiglia. Soprattutto di quella matriarcale. I suoi figli non camminano, marciano in fila per tre col resto di due. I suoi colleghi o sottoposti non collaborano e basta, rigano dritto. Le sue amiche la stimano e, a tratti, la temono. Ma sanno che su di lei si può contare. La donna-maresciallo ha una concezione tutta sua della dolcezza e dell’affetto. Priva di slanci amorosi, tende la mano come una guida o un appoggio. I suoi nemici la temono.
Il maschio-alfa: legato ad un retaggio antico quanto il mondo, questo poveretto pensa ancora di essere lui il capofamiglia, di avere lui il destino degli altri in mano, di potersi permettere comportamenti dispotici nei confronti dei famigliari tanto quanto degli ignari passanti. Il maschio-alfa è dotato di una tempesta di feromoni con i quali supone di colpire le donne e di renderle succubi ai suoi voleri. Mentre invece è solo puzza. Odore acre di ascelle. Pensava fosse amore, invece era un calesse. Spesso l’amore mascherato da calesse funziona, ma con le donzelle indifese, giacché con le donne-maresciallo manco ci prova ad avvicinarsi. Gli fanno paura per la troppa indipendenza. Il maschio-alfa non conosce limiti, né pudore. Se vuole una cosa, cerca di averla in tutti i modi. Non rispetta niente e nessuno. Né la coppia di fatto né la famiglia. Corteggia in modo spietato e a tratti neanderthaliano. Quando riceve un rifiuto, per lui non è un no, ma un incentivo ad andare avanti. E’ un no mascherato da sì per pudore o finta ritrosia. Il maschio-alfa è pericoloso e se vi manda messaggi, non apriteli. Potrebbero contenere foto o altri allegati che non sono sicuramente mazzi di fiori o poesie per educande.
L’uomo-baobab: sorridente e con un accenno di pancia, gambe divaricate ben piantate per terra, l’uomo-baobab è qualcuno su cui fare affidamento. Sempre. Di natura gioiosa, ridanciana e cazzeggiante, è tuttavia capace di pensieri profondi e partecipazione agli affari di casa. Una dote rarissima per un uomo. Il ruolo di padre gli piace ancora di più di quello di marito. Gioca volentieri con i figli, aiuta nelle faccende domestiche, interviene nell’educazione dei figli, sostenendo la mamma e condividendo con lei le difficoltà di gestione quotidiana. So che uomini di questo tipo esistono. Dove si trovino, però, è ancora un mistero da svelare.
Il marito-papà: in quest’ordine. Prima una cosa, poi l’altra. Nel ruolo di marito ci si è calato immediatamente, subito dopo la cerimonia era tutto un frullare di “mia moglie”, “noi” e via discorrendo. Nel ruolo di padre, invece, ha fatto un pò più di fatica ad identificarsi. Diciamo che la si può considerare un’assunzione di ruolo a rilascio prolungato. Come certe medicine. Che poi l’effetto benefico finale arriva, quasi sempre. Basta avere un pò di pazienza. Ecco, il marito-papà è meglio non abbinarlo alla donna-maresciallo. Insieme fanno scintille e non in senso positivo.