Il mercoledì è un bel giorno. Per chi lavora e la pensa come me, il mercoledì è il giro di boa verso il weekend. L’esatto passaggio in pendenza al raggiungimento del traguardo. Meglio ancora del venerdì e un pochino meno del giovedì. Questa mattina, mentre ero sul treno, ho letto un articolo che mi ha dato da pensare. E molto. Si parlava della scuola, come al solito, e della riforma tanto chiacchierata de #labuonascuola. Ne ho già parlato qualche tempo fa. E allora mi ero dedicata molto ai ricordi e alle mie esperienze. Oggi, come allora, non posso che fare altrettanto. Non sono una docente e non ho le competenze e le conoscenze adatte per parlare di contratti, aspettative lavorative, stipendi, eccetera. Però sono stata un’alunna e un’allieva. Stando dall’altra parte della barricata posso dire che un aspetto della riforma mi piace parecchio. Quello del merito. Perché se tutti noi lavoratori (quasi tutti) veniamo valutati sulla base di obiettivi raggiunti o meno, di capacità effettive o solo millantate, di atteggiamenti e attitudine al lavoro in team e molto altro ancora, per gli insegnanti non dovrebbe valere la medesima procedura?
Perché loro dovrebbero essere al di sopra di un controllo che possa valutare la qualità dell’insegnamento, la capacità di seguire questo pazzo mondo che cambia, con le nuove tecnologie, i nuovi strumenti e i giovani di oggi? Anche loro, soprattutto loro, sono cambiati. Mi duole dire che a me sembra che siano cambiati in peggio. Ma questa è una mia opinione. Ai miei tempi, se tornavi a casa con un brutto voto o con una nota (cosa che a me, per fortuna, capitò rarissime volte) avevi paura per il tuo posteriore e per le settimane di punizione che ti sarebbero state inflitte. Ora i casi di cronaca noti riportano di genitori che, indignati, insultano gli insegnanti (quando va bene) o li pestano a sangue. Incredibile. Se si pensa che la prima, vera educazione dovrebbe essere impartita dai genitori, certi accadimenti lasciano mal sperare. Gli insegnanti di oggi posso fare molto, ma a loro credo si chieda anche troppo. Lottare contro i mulini a vento è un’impresa che non riuscì nemmeno a Don Chisciotte.
Comunque, per ritornare alla questione del merito, voglio raccontarvi la mia personale esperienza. Si parla del lontano 1997-1998, ultimo anno di Liceo Scientifico. Anno della maturità. Ancora vecchia maniera: due prove scritte e due materie a scelta per l’orale. Ovviamente a noi studenti di quell’anno, visto l’indirizzo di studi, toccò la prova scritta di matematica. Facendo un passo indietro, voglio raccontarvi del professore di matematica e fisica che quell’anno ci piombò sulla testa come una spada di Damocle. Un inetto, scarsamente preparato e con una prosopopea che ci disgustava tutti, Totalmente incapace di trasmettere a noi giovani menti plasmabili e assetate di conoscenza la benché minima nozione. Non solo, non era nemmeno in grado di seguire i libri di testo. Era un ometto sulla trentina circa, capelli folti e molto spesso sporchi che desideravano ardentemente una bella immersione nello shampoo. Occhi piccoli e ravvicinati, scuri come la pece e labbra che teneva sempre tirate a boccuccia di rosa. Salvo schiuderle e far uscire una lingua guizzante nel momento in cui, gesso alla mano, tentava di risolvere un problema alla lavagna. Era il suo massimo modo di esprimere concentrazione. Incapace di tenere l’ordine in classe, non ammetteva più di un tot di domande durante la sua lezione. E il motivo era che non sapeva rispondere, a quelle domande. Molto semplice. Nel corso dei mesi, tutti noi (o quasi), avevamo visto un brusco impennarsi al contrario dei nostri voti sia in matematica che in fisica. Ed eravamo preoccupati e anche molto incazzati. Quello era l’anno della maturità! L’anno in cui si tiravano le somme, con un voto finale da cui dipendeva il nostro ingresso all’Università. E quel cretino allampanato non ci stava preparando nel modo più consono. Anzi, stava facendo un vero e proprio scempio. Inutili i nostri tentativi di parlarne con la Preside (tentativi fatti dai genitori stessi). Inutili le riunioni di classe. Niente da fare. Ci toccò fare del nostro meglio per prepararci alla prova finale in autonomia. Quella stessa “autonomia” che la riforma de #labuonascuola va tanto sbandierando. I risultati furono catastrofici. In tutta la classe, appena tre sufficienze. Una fu la mia, e lo dico con orgoglio. Dopo mesi e mesi passati a studiare e a prendere ripetizioni per rimettermi in pari, un misero 6 meno meno. Ma almeno ero riuscita a passare.
So che il “signore” in questione, di cui per deontologia professionale non faccio il nome, anche se mi piacerebbe tanto, è stato letteralmente radiato dalla categoria degli insegnati. Oggi vive a Torino e ha aperto una sua società di informatica. Magari in quel campo è bravissimo. Prima di realizzare le sue passioni, però, ha avuto modo di rovinare tanti ragazzi. Forse troppi.
Ecco cosa mi piace, quindi, della riforma. Una delle poche cose che, da profana, posso capire. Il MERITO. Se hai capacità, competenze e passione, puoi proseguire nel percorso di formazione dei tuoi alunni. Se non ce l’hai, fuori dalle scatole. Mi auguro che quando Ludovica e Veronica saranno in età scolare avranno la fortuna di incontrare sulla loro strada docenti meritevoli di questo nome. Come, tutto sommato, è capitato anche a me. In mezzo a tanti insegnati bravi e preparati, purtroppo, può capitare di incontrare l’idiota di turno. Ma c’est la vie, che ci vuoi fare?