Rieccoci coi ricordi. E scusate se sono noiosa. Direi che, se vi ho stufate, potete abbandonare la lettura qui. Anche oggi sono in vena di rimembrare tempi che furono. Dopo aver parlato dei miei nonni paterni, oggi ho voglia di ricordare la nonna materna. La Generalessa. Nonna Pina era una gran donna, grande lavoratrice, ottima manager della casa e degli affari di famiglia. Sempre attiva, camminava a passo di marcia, non passeggiava. Aveva pochi slanci d’affetto e solo con noi nipoti. E con la figlia più piccola. Nata e cresciuta in un momento storico che poco spazio regalava ai baci e agli abbracci, aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale, aveva perso il padre (picchiato a morte dai fascisti) e aveva dovuto ben presto entrare nel mondo degli adulti. Quegli adulti che, a quel tempo, erano molto più pragmatici e concreti di quelli di oggi.
Viveva in una casa che ho sempre adorato: una grande villa costruita da mio nonno, su due piani, con marmo ai pavimenti, carta da parati alle pareti, lampadari a gocce in cristallo e tante, tantissime stanze tutte da scoprire. La cosa che più mi piaceva era però l’imponente scala che dal piano terra conduceva al piano superiore, dedicato alle camere da letto. Quando andavo da mia nonna al pomeriggio, adoravo salire in cima alla scala, stendermi a faccia in giù sui gradini e scivolare a tutta velocità come Superman. Come se volassi. Lo facevo così tante volte che, al termine del gioco, le costole urlavano pietà. E mia nonna mi sgridava dicendo che ne avevo fatti abbastanza, di giri. Allora mi sedevo in cucina, con la televisione immancabilmente accesa a tutto volume (era lievemente sorda), pentole e pentolini fumanti sul putagè e sui fuochi, mia nonna che sfrecciava a destra e a sinistra preparando la cena e spesso il pranzo del giorno dopo. E, nel frattempo, mi dava merenda. Ricordo ancora la bontà e la dolcezza del pane cosparso di burro e zucchero. Oppure la morbidezza della focaccia salata con prosciutto cotto. Da bere, acqua. O acqua brillante, la sua bevanda preferita. Si chiacchierava di un pò di tutto, ma soprattutto di mio nonno Andrein (Andrea). L’uomo che aveva conosciuto e sposato in appena tre mesi. Un colpo di fulmine come pochi ce ne sono. Quando ne parlava, immancabilmente piangeva. Le mancava tanto, nonno Andrein. Anche a me mancava e manca tuttora. Sono l’unica nipote che ha avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo. Era un grande uomo che si era costruito una fortuna con il sudore e il duro lavoro.
Mi piaceva stare da lei e con lei. Aveva sempre un sacco di aneddoti da tirare fuori dal cassetto dei ricordi. Mi raccontava dei suoi genitori, dei tempi della guerra, della fatica che fece sua mamma dopo la morte del marito. Di come ci fosse poco tempo per le smancerie (da qui, il suo essere un pò burbera e molto pratica). In realtà, la ruvidezza la avvolgeva solo come una scorza. Un muretto che aveva eretto per proteggersi. In realtà, sapeva essere, a modo suo, molto dolce. Ricordo ancora quando, prima di morire, rimase ricoverata per lunghe settimane in ospedale a Cuneo. Passò gli ultimi giorni della sua vita soffrendo indicibilmente. Ma con coraggio, sempre mantenendo un contegno e una dignità come solo una vera signora sa fare. Tutti i pomeriggi, dopo il lavoro, prendevo il treno da Torino a Cuneo per andarla a trovare. Quando mi vedeva arrivare in camera mi apostrofava sempre dicendo “oh bambin, sati turna sì?” (o bambina, sei di nuovo qui?). E lo diceva con un misto di soddisfazione e orgoglio. Lieta di poter mostrare agli altri quanto i nipoti le volessero bene. Ricordo che in quell’ultimo periodo, come mai avevo e aveva fatto prima, ci dicevamo quanto ci volessimo bene. Lei mi prendeva la mano nelle sue, calde di febbre, e mi guardava fisso. Mi chiedeva come stavo, come andavano le cose, mi intimava di andare a casa. Era una grande donna. Quando penso a lei, ancora oggi, il cuore mi si stringe e le lacrime fanno capolino dagli occhi. Ancora oggi, dopo anni dalla sua morte, quando mi capita qualcosa, la prima cosa che mi viene in mente è di chiamarla per raccontarle tutto. Poi ricordo che lei non c’è più e allora parlo nella mia mente. Sicura che lei mi ascolta.
L’ho sognata raramente, nonna Pina. Forse non ha tempo di venirmi a trovare nel sonno. O forse lo fa e sono io che non me lo ricordo. L’unica volta che ricordo con vividezza di averla sognata, ho ripercorso il momento della sua morte. Noi tutti intorno al suo letto in ospedale, il suo ultimo respiro terreno e il tremendo e lacerante dolore che ho provato quando le sue mani hanno cominciato a diventare fredde. Credevo che sarei impazzita. Che non avrei potuto andare avanti senza una delle mie colonne portanti. Senza una parte della mia storia. Poi, invece, come è normale che sia, la vita va avanti. Pian piano il dolore si attenua e rimane celato sotto la pelle. Per fare capolino nei momenti più impensati. Non volevo che morisse, non ero pronta. E allora mi sono detta che, in qualche modo, avrei potuto continuare a farla vivere con noi. Ricordandola, certo. Ma anche facendola vivere in una nuova vita. Ed è per questo che, alla mia primogenita, ho dato il suo nome: Ludovica.
Ciao nonna, ti voglio bene.
E’ la prima volta che leggo il tuo blog..sinceramente ci sono capitata per caso facendo una ricerca in internet per un tema che riguarda i bambini.
E così ho letto questo tuo post..
Che dire… sembrava vedere tradotto in parole tutto il dolore, tutti i pensieri che ho vissuto e vivo ancora oggi pensando a mia nonna. Tutto l’amore che mi ha dato e che provo per lei, il dolore indicibile di quando è mancata (anche lei, davanti ai miei occhi in ospedale..ricordo ogni singolo istante come se fosse successo ieri)..il vuoto incolmabile che ha lasciato..e la speranza, ogni notte, di poterla ritrovare nei sogni. Anche a me manca da morire..
E anch’io, quando sono rimasta incinta, ho desiderato fosse una bimba per poterle dare il suo nome … alla fine, è arrivato un bel maschietto ma spero ancora di poter avere, un giorno, una bimba e chiamarla Clara.
Un abbraccio
L
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Che dire…ti ringrazio delle tue parole. I nonni sono importanti. Anzi, importantissimi. Sono figure che ci crescono, ci amano e ci guidano come nessun altro nella vita. Ti auguro tutto il meglio possibile, per te e per il tuo piccolo. E anche per la piccola Clara, quando arriverà. Bellissimo nome, tra l’altro! Un caro saluto e un abbraccio
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