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Le infanzie rubate

Sposa-bambina-2Sta girando dappertutto, in questi giorni. E’ un ritornello che ti entra in testa per non uscirne più. Io la vedo tutti i giorni, entrando e uscendo dalla stazione di Milano Cadorna. Immagini martellanti, silenziose. E per questo ancora più tremende. Nessun pianto, nessun dolore, solo paura e tanta, tantissima disperazione. E’ la campagna lanciata da Amnesty International contro il malcostume dei matrimoni precoci. E obbligati. E’ un fenomeno che dispiega le sue ali nere nel fitto sottobosco di relazioni sociali di molti, troppi popoli. Una ricerca pubblicata dalle Nazioni Unite stima che, ad oggi, nel mondo, siano oltre 13 milioni le ragazze che sono obbligate dai famigliari a sposarsi prima dei 18 anni. I motivi di queste scelte sono diversi tra loro, ma tutti rimbombano come pugni nello stomaco: dalla povertà all’indigenza, dall’ignoranza alla tradizione. A tratti per poche centinaia di euro. Che possono cambiare la vita della famiglia per un tempo sostanzialmente breve e che lascerà degli strascichi indelebili nelle vite delle ragazze e, forse, nel quotidiano delle loro famiglie.

Gli sposi, inutile dirlo, sono molto più vecchi delle spose a loro destinate. Le spose bambine sono costrette a crescere, d’improvviso. Gettate a forza nel mondo adulto. Un mondo per il quale non sono ancora pronte e che le fagocita, restituendole spolpate e abbruttite prima del tempo. E’ l’infanzia rubata, negata. L’infanzia sulla quale si sputa veleno e sentenze di morte. Sì. Perché, sempre secondo la ricerca delle Nazioni Unite, queste giovani vengono allontanate dalle loro famiglie per entrare nelle case di perfetti sconosciuti. Se sono più “fortunate”, di parenti. Non hanno sostegno, non hanno aiuti, non conoscono più la libertà.

E’ tutta una questione di fortuna. Se nasci in un Paese occidentale, con una parvenza di moralità e cura dell’infanzia, allora puoi vivere la tua giovinezza tra pupazzi e bambole, torte di compleanno e giochi. Se nasci nella parte “sbagliata” del mondo, allora non hai alcun diritto ad essere bambina. Sei una mera merce di scambio. Un oggetto da vendere al miglior offerente. Non è un argomento lieve e delicato, gioioso e faceto. Non ho potuto voltare la faccia dall’altra parte. Ripeto, la campagna di sensibilizzazione è ovunque.

Lo spot fa intendere benissimo quello che capita a queste bambine: sono sottoposte a vessazioni e violenze e abusi. E spesso, per loro fortuna, trovano la morte. Parlo di fortuna, sì. Perché non posso pensare che le piccole vittime preferiscano vivere, seppur imprigionate, picchiate, abusate. Sono certa che preferiscano morire. La ricerca rende nota l’età media in cui queste bambine vengono obbligate a sposarsi: 8 anni. Spesso, dopo appena pochi mesi di matrimonio, rimangono incinte. E, altrettanto spesso, vuoi per la mancanza di cure adeguate, vuoi per le percosse, muoiono tra atroci sofferenze.

Si stima che episodi di questo genere siano all’ordine del giorno soprattutto in India, Pakistan, Afghanistan, Yemen, Siria, Burkina Faso, Asia meridionale. E l’elenco potrebbe continuare. E’ una violazione dei diritti fondamentali dell’umanità. E’ la legalizzazione della pedofilia. E’ la vergogna del genere umano. Anche di quelli che, seppur condannando la pratica, girano la faccia dall’altra parte e fingono impegni per non essere troppo direttamente coinvolti. E’ anche la nostra vergogna.

Ho letto delle interviste di bambine che, fortunate loro, sono riuscite a mettersi in salvo. A fuggire dalla tana dell’orco. Rinnegate dalle loro famiglie, hanno però trovato accoglienza in strutture preposte all’aiuto per casi di questo genere. Sono poche, rispetto alla massa di schiave vendute e cedute per meno di un piatto di lenticchie.

Sul sito di Amnesty International ci sono due testimonianze che mi hanno straziato il cuore. Ve le riporto integralmente.

Mi faceva cose cattive e non avevo idea di cosa fosse un matrimonio. Correvo da una stanza all’altra per sfuggire ma alla fine lui mi trovava e continuava a fare quello che voleva. Ho pianto così tanto, ma nessuno mi ascoltava. Un giorno sono scappata e lui è andato in tribunale a raccontarlo. Ogni volta che volevo giocare in cortile mi picchiava e mi chiedeva di andare in camera da letto con lui.” Questa è la testimonianza di Nojoud Mohammed Ali Nasser, rilasciata allo Yemen Times. Oggi questa ragazzina ha 15 anni. Se le si guardassero solo gli occhi, parrebbe una vecchia. Aveva 8 anni quando venne costretta dalla famiglia (dal padre) a sposarsi con un uomo di 30 anni. Sottoposta ad abusi e violenze di ogni genere, la sua famiglia nel corso degli anni si è sempre rifiutata di aiutarla. Fuggita dalla casa del marito, seguita e sostenuta da un avvocato, è riuscita a ottenere il divorzio. Nella sfortuna, è stata fortunata. Non tutte posso raccontare la loro storia. Non tutte riescono a scappare.

E ancora, la storia di Mahmuda, Iran. A 14 anni è stata costretta a sposarsi. Il padre l’ha venduta per 2 milioni di rial (all’incirca 220 euro). E lei racconta così: “Ero contraria al matrimonio e ho pianto. Lui [il padre] mi ha picchiato tanto. Dovevo sposarmi. Lui era mio cugino. Dopo due mesi che vivevo con lui, ha iniziato a picchiarmi. Sono scappata da mio padre che mi ha rimandato da lui. Dopo un mese, ha ripreso a picchiarmi. Sono scappata a Teheran e ho chiesto aiuto alla polizia.

Storie di straordinaria follia quotidiana. Di malcostumi accettati, legalizzati, perpetrati nel corso dei secoli in “civiltà” che non conoscono altro se non la fame e la povertà. Che, pur di mangiare, vendono le loro figlie al miglior offerente. Negando loro il diritto ad essere bambine. Ad essere spensierate. A pensare unicamente a quale gioco giocare per primo. Rubano loro l’infanzia, la dolcezza, la purezza. Tutto per una manciata di euro. Molto più spesso, neppure per quello.

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