Questa mattina avevo la sveglia puntata alle 6. Non è suonata. Non nel senso che ha fatto cilecca, ma perché ben prima che trillasse ero già vigile e attenta. Un po’ come quando hai un appuntamento importante e l’ansia e l’attesa che il momento arrivi ti scaricano adrenalina in tutto il corpo. Impedendoti di dormire. Oggi ho un appuntamento con il bene. O con l’altruismo se preferite. Oggi vado a donare il sangue. Il Baobab, come ho già spiegato l’anno scorso, è l’unità mobile dell’ospedale San Raffaele di Milano, che si sposta per la città per raccogliere donazioni di sangue. Un gesto semplice e senza sforzo che può aiutare qualcuno.
Ero indecisa se continuare a donare oppure no. Dopo la perdita che ha colpito la mia famiglia, dopo la morte dello zio-papà che di trasfusioni nel corso degli anni ne ha fatte a centinaia, mi chiedevo perché continuare. Perché donare pur sapendo che il mio gesto, incoraggiato proprio dalla sua malattia, non era servito a salvarlo. Poi ho capito: non ho potuto salvarlo, ma magari posso aiutare e, perché no, salvare qualcun altro. Quel minimo dubbio che si è insinuato nella mia coscienza avrebbe potuto fare disastri. Se ogni donatore guardasse solo ed esclusivamente nel proprio personale, che ne sarebbe dei malati che vanno avanti (anche) grazie alle sacche di plasma? Che ne sarebbe dei barlumi di speranza che ogni trasfusione accende nei cuori dei malati? Dei meno fortunati?
E allora ho deciso che sí, avrei continuato a donare. Lo faccio per mio zio, per mio papà (assiduo donatore a suo tempo), lo faccio per i malati. Per contribuire a dar loro una speranza. E lo faccio anche per me. Per la gioia che mi da fare qualcosa di buono, fare del bene, per coloro i quali soffrono. E ripongono parte delle loro speranze in quelle sacche di sangue che li aiutano ad andare avanti. Un mese, un anno, magari meno. O magari fino alla guarigione.
L’ho già detto e lo ridico: donare il sangue comporta uno sforzo minimo, ma che può fare la differenza. Per i malati, per le loro famiglie. E anche per voi. Agli amici milanesi suggerisco di passare da piazzale Cadorna in questi giorni. Il Baobab è lì, con la sua ingombrante presenza, a ricordare che non esistiamo solo noi. Ci sono anche gli altri.
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