L’altra notte ti ho sognato. Eri seduto spalle alla finestra. Camicia azzurra, gilet nero, jeans. Parlavi di pentole antiaderenti. Che dicevi dover comprare. Non mi sono accorta che ti stavo sognando. Altrimenti ti avrei abbracciato, ti avrei fatto domande. Ti avrei detto le parole che negli ultimi mesi ho sognato di dirti. Tutte le parole che non ti ho detto come avrei voluto.
E ora, ovunque guardi, c’è sempre qualcosa che mi ricorda te: il cagnolino Boby trainabile che avete regalato a Veronica e che portavamo sempre da te a pranzo, la domenica. La tuta blu che avete regalato a Ludovica per il suo onomastico l’anno scorso. Ancora la porta, sai?
La foto di me piccola, in braccio a te. Tu con la sigaretta accesa e un bel sorriso schietto. E non riesco a non pensare a quale vuoto senza senso hai lasciato. In Gianna, che pare ancora più magra e sparuta di prima, cogli occhi enormi su un corpo smagrito. Sembra un uccellino. In Edoardo, che si trincera dietro un’aria imperturbabile. Nessuna emozione apparente. Nessun solco nel suo essere granitico. In mamma, che non si riprenderà mai da questa botta. Cip & Ciop non dovevano essere separati. Non così presto. In Annamaria, che sembra persa nonostante la corazza indipendente che ha sempre eretto intorno a sé. In Alessandro, che è il più enigmatico.
E poi ci sono io. Che ho perso tre punti saldi in uno: uno zio, un padrino, un “papà”. Io che non mi sono ancora sfogata. Io che non accetto. Io che devo tenere duro, per le bimbe, per mamma, per tutti. Io che, la prossima volta che ti sognerò, saprò cosa fare. Ti dirò finalmente le parole che ti ho mandato via messaggero mentre eri in ospedale: ti voglio bene.
E magari ci aggiungerò “bel maschione”. Tu ed io sappiamo perché.