Un anno fa, oggi. E’ stata l’ultima volta che ti ho visto. L’ultima volta che ti ho parlato. L’ultima volta che, piano piano, quasi sfiorandoti, ti ho dato un bacio. Con quel pudore e quella timidezza che hanno sempre contraddistinto gli slanci d’affetto e il mio amore immenso per te. Sì, ti volevo bene. Ti consideravo un padre. Quel padre che ho perso presto. Quando è stato il momento di scegliere i padrini e le madrine ti ho detto “vorrei qualcuno per loro che sia come te. Hai fatto un ottimo lavoro”. Rarissima cosa: hai sorriso compiaciuto e forse anche un po’ timidamente, e mi hai risposto solo “grazie”. Lo penso spesso. Ce ne sono poche persone come te. Ecco, forse una persona che ti somiglia e che nel futuro sarà come te è Edoardo. Con lui hai fatto un lavoro eccellente.
Io, mamma e le ragazze siamo arrivate a Terrapini prima. Andrea, come sempre (poverino) era rimasto a casa a finire di caricare la macchina. Noi partivamo sempre prima, così da trascorrere con te più tempo possibile. Quante volte mi hai detto “portamele su prima, ‘ste bambine. Altrimenti non mi riconosceranno mai. Passo poco tempo con loro!”. Quando siamo arrivate, tu eri in casa, a cucinare. Ti muovevi a fatica, ansimando per lo sforzo, appoggiandoti ad ogni superficie a portata di mano. Appena siamo entrate in casa sei subito venuto verso di noi. Con quel sorriso meraviglioso che facevi sempre quando vedevi Ludovica e Veronica. Un sorriso che sembrava cancellare in un attimo tutta la fatica, il dolore, la paura, la stanchezza. Un sorriso che bruciava via la malattia.
Edoardo ha cominciato a suonare la Marcia Turca di Mozart. Veronica era in braccio a Gianna. Ballavano. Ludovica in braccio ad Edoardo seguiva le mani che correvano veloci sui tasti. Tu, seduto sulla tua sedia nera da lavoro, osservavi un po’ l’una un po’ l’altra. Io riprendevo la scena. Conservo quel video che se fosse uno degli ori più preziosi che si possa possedere nella vita. Ogni tanto lo guardo. E’ l’ultimo ricordo nitido visivo che ho. Poi ci sono tutti gli altri. So già che pian piano sbiadiranno. Che la memoria giocherà tiri mancini e il cervello tenderà a mescolare le carte. Ma quel video, quelle immagini, resteranno un modo per vederti. Ora che non mi è più possibile farlo fisicamente.
Le Gem avevano il raffreddore, tu avresti voluto prenderle in braccio e noi te lo abbiamo impedito. Avevamo paura che potessero contagiarti e compromettere la tua salute già precaria. Non sai quanto mi pento di non avertele lasciate baciare e coccolare. A posteriori, è sempre tutto molto più semplice.
A pranzo, come spesso ti accadeva, ti sei assopito sulla sedia. Ricordo ancora quel sentimento di amore e tenerezza che mi pervadeva sempre quando ti osservavo così, con il busto mezzo chino in avanti, gli occhi chiusi, il respiro lieve.
Il giorno dopo sarei partita per il Kenya. Dal giorno dopo non ti avrei visto mai più. Il pensiero, ancora oggi, mi spacca il cuore. L’ultimo ricordo che ho di te è il saluto fatto dal balcone alle bambine, mentre le caricavamo in macchina. E tu, nonostante la fatica di fare anche le cose più banali, che mai e poi mai ti saresti lasciato sfuggire quell’ultimo saluto.
“Dite ciao a Beppe, ragazze!”. “Ciao Beppe”.
Ciao, Beppe, ti voglio bene. Te ne vorrò sempre.