A scuola avevo una compagna molto timida, dolce, mite e tranquilla. Tutto l’opposto di come ero io insomma. Questa ragazza se ne stava abbastanza in disparte, socializzava il giusto, non spiccava per “popolarità”. Faceva quello che doveva fare, normalmente in silenzio, e poi se ne tornava a casa sua. Ricordo che una volta sola, in cinque anni, sono andata a casa sua a studiare. Solitamente tra compagne e compagni ci invitavamo l’uno a casa dell’altro/a per fare i compiti insieme, sudare su complicati esercizi di fisica, sbattere la testa su qualche versione di latino. Lei no. Era piuttosto quello che si definisce un elemento fuori dal branco. Vi si avvicinava timida, per poi scappare via il più in fretta possibile.
Però, ripeto, era dolce, carina, gentile e molto educata. Forse fu proprio per tutte queste sue qualità (badate bene, qualità, non debolezze!) che ad un certo punto venne presa di mira da un professore. Un insegnante che insegnava storia e filosofia e che giocava un po’ troppo a fare il compagno di tutti. Sia in senso amicale che politico. Faceva, infatti, propaganda continua, trasformando lezioni scolastiche in sondaggi d’opinione. Io ho sempre detestato parlare del mio pensiero politico. Quello che voto è un fatto mio personale. Ancora meno ne parlo volentieri con persone che non accettano che le mie idee, in parte o in toto, si discostino dalle loro. Magari la pensavo esattamente come lui, invece, ma per reazione ho sempre tenuto duro, per tre lunghi anni, svicolando al meglio qualsiasi domanda.
Questa mia compagna faceva più o meno la stessa cosa, ma evidentemente a lui proprio non andava giù. Se io, con qualche battuta ironica, riuscivo sempre a cavarmela, lei invece non aveva altrettanta fortuna. Finché si arrivò, un giorno, all’assurdità spinta al parossismo più idiota. Il professore la stava interrogando in storia. Ad un certo punto, le fece la seguente domanda: “come funziona il motore a scoppio?”. Silenzio di tomba. E lui, incalzante, “qual è il suo funzionamento?”. Siccome la poveretta non rispondeva, le diede un voto insufficiente e le disse di ripassare.
La volta successiva, nonostante nel frattempo avessimo proseguito nel programma, venne di nuovo interrogata lei. Inutile dire che la domanda fu di nuovo quella. E che, di nuovo, si prese un’insufficienza. Allora, o si studia o non si studia. Se non si conoscono le nozioni necessarie, è giusto beccarsi un voto negativo. Però, cacchio, ditemi voi che diavolo c’entra conoscere nel dettaglio il funzionamento meccanico del motore a scoppio, se inserito nel quadro più ampio della Rivoluzione Industriale. Ora, che quel tipo di invenzione sia stata creata, va memorizzato e si deve sapere. Però conoscere i particolari meccanici direi proprio che non ce ne può fregare di meno. Al Liceo Scientifico suppongo che un’informazione di quel genere non sia fondamentale per completare a dovere il proprio percorso didattico.
Questo scherzetto andò avanti un bel po’, forse addirittura per quattro lezioni di seguito. Finché E., stremata, si presentò alla interrogazione successiva (lo sapeva che sarebbe toccato di nuovo a lei) con qualche nozione in più. Non rispose ovviamente in modo esaustivo, però rispose. Si era documentata da sola in biblioteca pur di porre fine a quell’assurda vessazione. Sapete cosa le disse il professore? “Benino, ma non ancora bene. Devi studiare di più!”. E le affibbiò l’ennesima insufficienza.
Se c’è una cosa che non tollero e che provoca una malsana orticaria questa è l’ingiustizia. L’essere presi di mira per non si sa quale dannata ragione, vivere una situazione con angoscia e timore. La mia compagna arrivava a scuola con crampi allo stomaco, nausea, vomito. Talvolta le veniva anche la febbre. Ricordo che un giorno intervenni dicendo “mi scusi, professore, ma cosa c’entra il funzionamento del motore a scoppio con quello che stiamo studiando? Nel libro nemmeno c’è!” – “C’entra Costantino, c’entra eccome”.
Provai a difenderla, insomma. Ma senza evidente successo. Tutti gli altri zitti. Nessuno si espose. E sapete perché?
Perché quando hai a che fare con un despota, che si diverte solo sottomettendo qualcuno perché così si sente forte e osannato dalla massa, meglio starsene nel proprio cantuccio e andar d’accordo con l’autorità del momento (autorità, badate bene, non persona dotata di autorevolezza). Per vivere tranquilli, per non avere rogne, per sentirsi accettati.
Io, invece, preferisco sempre essere fuori da questi giochetti di potere inutili. Inutili per la mia salute e integrità mentale. Io non sono mai stata né mai sarò un’altra E.
Amen.