Sono passati ormai 33 anni da quando ho visto l’ultima volta mio nonno Andrein. Tanti, troppi. Anni che, dopo essere trascorsi, ti lasciano in bocca il sapore dei ricordi che dopo un po’ sono destinati a svanire. E’ normale, dicono. Fisiologico. Il dolore poco a poco diminuisce fino a diventare più un’idea che una sensazione vera e propria.
Non posso dire che non sia così. Ma alcuni sentimenti li ho ancora ben vividi, impressi nella mente e nei sogni. Come la tenerezza. Sono stata la prima nipote. Un privilegio che nessuno mai potrà togliermi o arrogarsi il diritto di rubarmi. Mio nonno credo che impazzì quando arrivai nella vita della famiglia.
Non solo perché fui la prima, ma anche perché immagino che con me potesse finalmente lasciarsi andare a gesti di dolcezza e tenerezza che, di base, ai tempi non erano “opportuni”. Io me lo ricordo bene, mio nonno. Mi prendeva in braccio, mi raccontava storie, cantava le canzoni di guerra della folgore.
Essendo lui stesso stato uno di loro e avendo perso un fratello in guerra, quelle canzoni avevano un po’ il sapore di un inno di famiglia. E poi faceva magie. No, non scherzo. Le faceva proprio. Immagino fosse solo un abilissimo prestigiatore ma, per una bambina di 4 anni, il trucco se c’era non si vedeva proprio.
La formula magica era sempre quella “fatina, fatina, fai venire una caramella per la mia bambina”, recitata con le mani appoggiate l’una sull’altra sul tavolo. E lì, dove prima non c’era nulla, spuntava di volta in volta un dolce diverso. E io mi sentivo felice in un modo che non è facile da spiegare.
Mio nonno Andrein era, con tutti, un uomo burbero, dai modi schivi e sempre lievemente accigliato. Con me no. Io ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere l’altro lato del nonno. Quello buono, affettuoso, gentile, paziente. Non ricordo una sola volta in cui il nonno mi abbia sgridato.
Probabilmente di occasioni ce ne sono state, eccome. Ma il tempo è un ottimo rimedio anche per questo: più passa, più ti lascia addosso come una calda coperta solo la parte migliore. Qualsiasi essa sia.
Ciao nonno Andrein, oggi voglio ricordarti così, con il viso rugoso a scrutarmi, io seduta sulle tue ginocchia e tu che canti “della Marina ce ne freghiamo, perché dall’alto la bombardiamo! E gira gira l’elica, romba il motor, questa è la bella vita, la vita bella dell’aviator!”.
lasciare andare è il primo segno d’amore…
Il tuo blog è molto coinvolgente
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Hai ragione…ma non è facile… grazie mille ☺️
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È vero anna non è facile, ma questo oltre al nostro senso di attaccamento dato anche dal tipo di idea che abbiamo della morte.
Buona giornata cara anima 🙂
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Buona giornata a te!
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