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Un venerdì senza requie

 Ieri a casa con le gemelle. Da sola. Dal mattino alle 8 fino alle 19.20, ora in cui Andrea, finalmente, è rientrato. 

Mattinata tranquilla fin verso le 10, quando mentre le bambine dormivano io, incauta, ho deciso di entrare un attimo in chiesa. Avevo notato che c’era un funerale, ma non sentendo pregare ho pensato che dovesse ancora cominciare. E invece no. Era in pieno svolgimento. Ma il silenzio mi ha invogliata ad entrare comunque. Stolta! Non appena messo piede, il prete con voce baritonale ha esortato i fedeli a cantare con lui. Veronica ha immediatamente aperto gli occhi e la bocca e non c’è stato più nulla da fare se non catapultarci fuori a tutta velocità. Ma ormai il danno era stato fatto. Una delle due, sveglissima dopo appena mezz’ora di sonno, reclamava una mattinata un po’ più movimentata. 

Dopo la passeggiata rientriamo a casa per il pranzo: cambio dei pannoloni, cambio d’abito, preparazione della pappa. Il tutto con occhi ovunque e orecchie tese a cogliere il minimo rumore o assenza dello stesso, purché sospetto. Dentro di me penso “sono stata brava” me la sto cavando alla grande! 

Peccato che, reclamando tutta la mia attenzione, io non abbia avuto il tempo materiale necessario per mangiare a mia volta. E allora penso a quando eravamo a Bra, io e mia mamma da sole, a come avevo perso chili in fretta…ecco perché! Non riuscivo a finire un solo pasto! Non uno! E allora penso che tutto sommato va bene così. È un ottimo esercizio di autocontrollo quanto meno sugli stimoli della fame. 

Dopo il gioco e la sala messa a soqquadro, è tempo della nanna. E penso, così mi riposerò anche io. E invece no. Incredibilmente, quando sono a casa io, le piccole non dormono mai tranquille come quando sono con la tata. Non so, forse percepiscono il mio odore (credo sia il caso di cambiare bagnoschiuma) o semplicemente la mia presenza. Chissà. Fatto sta che dopo appena mezz’ora sveglie entrambe a suon di urla, ho dovuto prenderle nel letto tutte e due e sperare che continuassero a dormire. 

Dopo la merenda, pomeriggio in giro. Ad un certo punto le porto al parco: giro di altalene, giro di dondolo, bambine soddisfatte. Se non fosse che mi viene l’idea di farle camminare. Prima e ultima volta da sola! Lo giuro. Una va da una parte e l’altra nella direzione esattamente opposta. Mentre tento di recuperarne una, scorgo l’altra comodamente seduta nel prato che strappa fili d’erba e tenta di portarseli alla bocca. Plano verso di lei con l’altra dietro di me a bandiera e le strappo il maltolto dalla mano. 

Le ripiazzo nel passeggino e prendo lo via di casa. Nel tragitto incontro tre ragazzi, uno dei quali mi guarda fisso fisso. Non appena mi incrocia, a voce alta dice: due gemelli, che sfiga! Replico: se avessi avuto un figlio come te sarei stata molto più sfigata! E lo lascio lì, a imprecare altro. 

Idiota decerebrato cretino. Arrivate a casa, dopo aver scaricato il passeggino, aver fatto loro il bagno, dato la cena, sistemato la cucina, arriva Andrea che mi chiede com’è andata. Bene, sibilo. Tutto alla grandissima. E lui: sei stanca? Gli pianto addosso un’occhiata che incenerisce. E lui non ripete la domanda, perché tiene ancora al suo scalpo. 

Morale della favola: sì, da sola c’è la posso fare. Sì, non sono morta. Sì, è stato faticoso, ma basta essere organizzati. Posso essere una supermamma, ma non ho superpoteri. Solo un’ottima propensione all’autogestione e al problem solving. E dici niente…

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