Siamo arrivati ieri. Macchina stracarica, siluro sopra il tetto contenente di tutto un pò, dal passeggino alle sedie da agganciare al tavolo, dai lettini da campeggio ai materassini, dai vasini per imparare a fare pipì “come i grandi” a quintalate di pannoloni, che se per caso non ce la fanno, meglio essere premuniti dell’occorrente. Nel bagagliaio quattro valigie stile profughi in viaggio verso l’America, che nemmeno Lady Gaga in tournée ne ha così tante e stracolme. Il viaggio fila liscio, niente traffico diverso nel suo genere da ogni, ordinario, martedì. Nemmeno alla frontiera c’è il tanto temuto blocco delle auto. Gli immigrati li hanno bloccati altrove, o forse semplicemente non si vedono.
Sospel, Garavan, Casinò Barriere, ed eccoci arrivati sotto casa. Giro per i parchetti tanto amati, dal Giardino degli Stati Uniti, all’enorme piazza fiorita fronte casinò, alla rue pietonne, verso la giostra. Giretto di riscaldamento, urla da scuoiamento in corso per scendere, occhiate misto curioso compatito divertito indifferente delle persone intorno a me, che anche se mi vedono trafficare usando tutto ciò che è in mio potere, dalle braccia, alle gambe, ai denti, non mi vengono in soccorso. No, preferiscono farsi i fatti loro e, forse, godersi lo spettacolo. Il ritorno a casa e un pò come un viaggio a occhi chiusi: anche se non potessi vedere, saprei esattamente dove scansare una piastrella scheggiata, dove evitare il banchetto dei gelati che si pagano a peso d’oro, dove sedermi, nel caso fossi stanca. Dopo tanti anni, Menton è davvero un pò una seconda casa.
Dopo cena, quando finalmente riesco a far dormire le piccole iene sovraeccitate, io e Andrea scendiamo a rilassarci un pò. Come quasi sempre, scendo prima e lo aspetto giù (mentre lui finisce di prepararsi, che persino Moira Orfei con tutto il suo trucco a impalcatura ci avrebbe messo meno), per gustarmi i profumi noti, per scoprirne di nuovi, per scorgere qualcuno che conosco, per sbirciare le vetrine dei miei negozi preferiti. Un momento, come al solito, che è solo mio. Solitudine e pace, per 15 minuti. Ma c’è qualcosa che stona. Fatta eccezione per il numero dei passanti, che negli ultimi anni è andato diminuendo gradualmente, vuoi per la crisi, vuoi per i costi e le preferenze, quest’anno c’è, appunto, una nota stonata. Tutta la città è piantonata da militari in tuta mimetica, con i mitra spianati, pronti all’uso. A Milano li vedo tutti i giorni, non sono una novità. Ma qui, a Menton, il luogo di vacanza più tranquillo che abbia mai vissuto, la loro vista mi suona come uno sparo. Anzi, sei. Sei colpi di pistola, uno dietro l’altro, a distanza di cinque minuti. I proiettili viaggiano in coppia, sui due lati della strada. Si guardano intorno, finti noncuranti, finti tranquilli. Ma si vede che sono dei ragazzini, che se succedesse qualcosa, chissà come reagirebbero. Magari addestrati meglio di tutti. Ma pur sempre dei ragazzini. La pelle sbarbata, gli occhi ancora puliti.
E allora mi rendo conto che il terrore è arrivato, purtroppo, anche qui. Che la sua eco ha viaggiato da nord a sud, fermandosi ovunque come una cappa. Che la strage di Nizza ha colpito non solo la località della Costa Azzurra, ma tutte le città limitrofe. Che quei bastardi che vivono di terrore, che sventolano la bandiera di Allah per pescecani assetati di soldi e ricchezza (e che Allah manco sanno chi sia), che falciano vite come se fossero erba secca, non si sono fermati a Nizza, Londra, Parigi, Bruxelles, ma sono ovunque. Anche qui, nella tranquilla Menton. Non fisicamente, spero e mi auguro, ma con lo spirito. Quello spirito di terrore, paura, diffidenza che ci rende sospettosi, che ci fa guardare al nostro vicino come se fosse il prossimo, possibile attentatore.
Non credo che colpiranno qui, no. Tuttavia, sono riusciti a rovinare un clima di tranquillità, gioia, relax, a tratti anche sana noia, che per tutti questi anni ho avuto il piacere di vivere. Bè, sapete cosa c’è, io me ne frego! Viva Menton, viva le vacanze. E che Dio ce la mandi buona.