Non sono un medico, né un infettivologo, né una specialista, per cui qui non parlerò di medicina. Né di come comportarsi per evitare il contagio. Non ne ho le competenze. Vi parlerò qui, invece, di come si vive l’amore ai tempi del Coronavirus.

Non vedo mia mamma, mia zia, la mia Nonna-Bis da più di un mese. Le sento al telefono e stop. Non vedo la mia famiglia di origine da più di un mese. Non vado in Piemonte, né da sola, né con le Gem. Perché questo potrebbe mettere a repentaglio la salute di chi amo. Quando sabato sera è trapelata la notizia della prossima, imminente chiusura della Lombardia, il primo, folle istinto è stato quello di mettermi in macchina e di tornare a casa.
Incredibile come, dopo decine di anni, io continui a pensare a Bra come a casa mia. E’ la dura legge di chi ha il cuore spaccato a metà. Tra la città in cui vive, con la propria nuova famiglia. E la città in cui si hanno tutti gli altri affetti, i più cari. Quelli di bambina.
Poi ovviamente ci ho pensato bene e sono rimasta dove sono. Perché, anche se le possibilità di contagio sono infinitesimali (ma chi lo sa, con certezza?), il mio dovere di cittadina responsabile è quello di stare dove mi hanno imposto di rimanere. Senza se e senza ma.
Avete mai visto una terapia intensiva? Io sì. E’ una dimensione quasi fuori dal tempo e dallo spazio così come normalmente li viviamo. Un luogo dove si gira con camici, soprascarpe, mascherine spesse che ti impediscono quasi di respirare. Un luogo dove gli unici suoni che senti sono i rantoli delle persone che stanno male e soffrono, il bip dei macchinari, le parole sussurrate dei medici e degli infermieri. Un luogo dove si sentono solo, a tratti, i lievi singhiozzi dei (pochi) parenti ammessi a stare di fianco al proprio caro.
Ecco, quindi, che in epoca di Coronavirus, l’amore passa via cavo: faccio spesso telefonate, videochiamata in cui mostro a mia mamma le Gem, mando messaggi, invio video delle ragazze. Per far sentire ai miei cari a Bra che, nonostante tutto, l’amore che ci lega è forte come sempre. Forse ancora di più.
Non sono un medico, non ho basi scientifiche per dire quando tutto questo finirà. Come finirà. Come ne usciremo. Però ho un cervello che cerco di far funzionare nel modo più corretto possibile. E quindi, se eminenti virologi, medici, rappresentanti dell’OMS e della Sanità ci chiedono di stare a casa, di limitare le uscite, di non mettere a rischio la nostra e l’altrui incolumità, io mi adeguo. Nonostante tutto. Nonostante il cuore cerchi di spingermi a fare l’esatto opposto di ciò che la ragione impone.
Il cuore conosce ragioni, che la ragione non conosce. Vero, però è ora che tutti insieme facciamo un passo indietro.
Vi voglio bene mamma, Annamaria, Magna. A presto.